…e noi li uccidiamo nell’animo
Potremmo riassumere così il modo in cui accogliamo i disperati che si mettono in marcia per assicurarsi un futuro. Invece che a cannonate, come qualcuno vorrebbe, “accogliamo” i profughi di guerre, stermini dimenticati, vittime di ogni genere di violenza e sopruso, raggiungendoli (quando non sono loro ad arrivare a toccare le cose in qualche miracolosa maniera), dandogli una bottiglia d’acqua ed una coperta termica e rinchiudendoli immediatamente in un lager legalizzato in attesa di rispedirgli in mezzo a morte e distruzione.
Siamo così evoluti che prendiamo persone disperate e le seppelliamo vive dentro i Centri di Identificazione ed Espulsione CIE che non sono prigioni ma dalle quali non si può uscire, li lasciamo a marcire lì, in condizioni igieniche pessime, senza che abbiano commesso alcun reato, semplicemente perchè a noi il diverso non piace. Più volte questa ennesima vergogna italiana è finita al centro della cronaca, come quando l’Herald Tribune ci ha sbattuto in prima pagina, ma nulla è cambiato. Alle volte si sentono di casi enigmatici come alcuni stranieri che, dopo aver commesso un reato ed aver pagato il proprio debito alla giustizia, lasciano il cacere e vengono immediatamente internati in un CIE in attesa di rispedirli da dove sono arrivati, una doppia condanna senza motivo, ingiustificata e non fa che aggravare il precario equilibrio di chi si trova tra l’incudine della disperazione del proprio luogo d’origine ed il martello delle leggi xenofobe italiane.
Dovevano morire il oltre 300 persone, tutte insieme, disperati tra cui donne e bambini affinchè si capisse che questo modo di affrontare il problema non funziona? Negli anni quante migliaia di persone sono rimaste uccise nella speranza di un futuro senza massacri, genocidi o discriminazioni? Quanti corpi giacciono in fondo al Mediterraneo in attesa che qualcuno ricordi il loro sacrificio?
Senza contare che il traffico di essere umani è diventata una fonte redditizia per le organizzazioni criminali mondiali che, sfruttando i rimpatri, fanno lauti guadagni sulla pelle della disperazione. Spesso i migranti riescono ad accumulare cifre astronomiche per loro, per iniziare queste traversate della disperazione/vergogna, alle volte fanno debiti che se non saldati ricadranno sulle loro famiglie rimaste nei loro paesi d’origine; iniziano cammini lunghissimi, alle volte anche di mesi, sotto il controllo spietato di carcerieri che li trattano alla stregua delle bestie, le donne sono sistematicamente vittime di violenze di ogni tipo nel corso di questi viaggi, riescono a non morire di stenti od affogati per toccare le coste italiane e poi cosa succede? Un paese xenofobo le accoglie, le interna e poi le rispedisce, a caro prezzo, da dove sono arrivati ed i criminali hanno di nuovo materiale umano su cui lucrare e farne ciò che preferiscono.
Immigrato non significa delinquente, le mele marce ci sono ovunque, dipende solo da quanto risalto si da ai disperati che commettono un errore rispetto ai nativi. Uomini, donne e bambini che nella speranza di un futuro non hanno avuto modo di viverlo gridano vendetta e con loro dovrebbe fare ognuno di noi con una coscienza perchè se muoiono per colpa delle condizioni disumane con cui vengono trattati, li uccidiamo poi noi nell’animo, internandoli e lasciandoli accumulare disperazione a disperazione, finchè il prossimo viaggio non andrà male.