Denis Mukwege: “l’uomo che ripara le donne”
Di solito, detesto essere autoreferenziale, è una pratica che non amo affatto ma c’è una storia che ho raccontato, alla quale vorrei dare la maggiore visibilità possibile. E’ molto importante seguire gli esempi di persone valide che hanno sacrificato gran parte della loro esistenza per il bene comune, che hanno visto l’orrore dritto negli occhi e, sebbene impressionati, hanno continuato a fare il loro lavoro per aiutare ed educare.
La persona di cui parlo si chiama Denis Mukwege ed è un ginecologo congolese che ha curato finora oltre quarantamila donne vittime di ogni sorta di violenza sessuale da parte di gruppi assetati di sangue senza alcuno scrupolo.
Quest’uomo è stato vittima di sei attentati ed è stato costretto a lasciare la sua patria a causa delle pessime condizioni di sicurezza in cui era costretto a vivere, senza alcun supporto da parte del governo della Repubblica Democratica del Congo. Ha vinto decine di premi e riconoscimenti e spesso è stato accostato al Premio Nobel per la Pace.
Sono convinto che, al di là dell’orrore che ha vissuto e raccontato, quest’uomo potrà insegnare tanto a tutti. Se avete qualche minuto, leggete e fatevi un’opinione di ciò che gli esseri umani sono in grado di fare.
L’articolo che segue è quello comparso su mondoinformazione.it (ora non più visibile) e ripreso un pò qui un pò lì su internet.
Denis Mukwege: l’uomo che ha curato 40 mila donne vittime di violenze sessuali
Denis Mukwege è un ginecologo congolese che in tredici anni ha operato e curato oltre quaranta mila donne vittime di violenze sessuali. Hanno provato ad ucciderlo, comprarlo o zittirlo, ma senza successo.
Denis Mukwege è un gigante dalla voce ferma e suadente, trasmette calma e fiducia quando parla e per come si muove. Le Monde gli ha dedicato un articolo per accendere un faro sulla disperata situazione delle donne nella Repubblica
Democratica del Congo. Tredici anni fa ha fondato l’ospedale Panzi vicino a Bukavu, all’estremo est di quest’immensa nazione incastonata nel centro dell’Africa tra paesi in procinto di entrare in guerra tra loro ogni giorno o di disgregarsi sotto i colpi di movimenti armati intestini.
Questo ginecologo di 57 anni, specializzatosi in Francia, dal 1999 accoglie donne vittime di ogni sorta di violenza sessuale; è una celebrità non solo nel suo paese ma anche nella comunità internazionale ed ora, passa la sua vita a tenere simposi, convegni e a parlare ovunque gliene diano l’opportunità per spiegare il dramma della violenza sessuale che sono costrette a vivere le donne nel suo paese. Più volte il suo nome è stato
avvicinato come possibile vincitore del premio Nobel per la pace, nel corso della sua vita ha accumulato decine di premi ed onoreficenze ma, nelle interviste che rilascia, sembrerebbe volerne fare volentieri a meno, se solo riuscisse a convincere la comunità internazionale a fare qualcosa.
La sua celebrità è arrivata anche a orecchie avverse tanto che, il 25 ottobre del 2012, cinque uomini armati hanno fatto irruzione nella sua abitazione immobilizzando le guardie del corpo, i domestici e la famiglia in attesa del suo ritorno. Appena la sua auto ha imboccato il vialetto d’ingresso, i cinque gli sono piombati addosso, l’hanno fatto scendere con una pistola puntata alla tempia. Quando ormai ogni speranza era andata, uno degli uomini della sicurezza è piombato, urlando, addosso al sicario. Qualcuno ha fatto fuoco uccidendolo con due colpi di pistola ed il dottor Mukwege nella confusione si è ritrovato a terra tra il sibilo delle pallottole. La guardia del corpo ha sacrificato la propria vita, concedendo quei secondi preziosi che hanno salvato quella del dottore e delle persone a lui vicine. Presi dal panico i cinque sicari sono fuggiti a bordo dell’auto della famiglia Mukwege. Questo però non è il primo attentato ai danni del dottore che si sente “un miracolato, sono sopravvissuto a sei attentati” dice, con il suo consueto tono pacato “ormai sono convinto di avere una protezione divina”.
La notizia ha fatto immediatamente il giro del mondo e gli attestati di solidarietà non hanno tardato ad arrivare, anche da parte di importanti organizzazioni umanitarie come Amnesty International e Physicians for human rights. Il giornalista del New York Times, Nicholas Kristof, ha scritto sul suo blog “Hanno cercato di uccidere uno dei miei eroi”. Secondo il giornalista il motivo dell’attentato, potrebbe essere dovuto al discorso tenuto da Mukwege a settembre alle Nazioni Unite sull’impunità degli stupratori nella Repubblica Democratica del Congo.
Il dottore con la sua famiglia, sono stati immediatamente trasferiti in Burundi e poi in Europa e la notizia ha gettano nello sconforto la comunità congolese. Il 21 novembre è stata organizzata una manifestazione dove centinaia di donne sono arrivate, con ogni mezzo e con i loro bambini in spalla, davanti alla fondazione di Mukwege per chiederne il ritorno: “Porteremo in ospedale il raccolto dei nostri campi, le nostre banane, i nostri ananas. Pagheremo il biglietto aereo per farlo tornare qui. E saremo noi, le donne, a presidiare la sua abitazione giorno e notte per garantirne la sicurezza. Per pietà, fatelo tornare”, ha detto una di loro.
Sebbene assieme agli attestati di stima siano arrivate richieste di inchieste e di assicurazioni sulla sicurezza del dottore, il governo congolese non ha mai soddisfatto alcuna di queste condizioni per garantirne un rientro in patria in piena sicurezza. Tornare nel suo paese è importante per il dottore, lo dichiara ogni volta che ne ha la possibilità e, nel periodo della sua assenza forzata, ha comunque dato disposizioni affinchè l’ospedale resti aperto e le pazienti non soffrano della sua assenza.
In un’intervista rilasciata ad Annick Cojean a Bruxelles il 6 novembre 2012, il dottor Denis Mukwege ha mostrato ancora voglia di lottare ma, nel profondo, si intravedeva un sofferenza: “Sono stanco” come ha dichiarato “di parlare a vuoto. Stanco di cercare invano di scuotere le coscienze. Stanco di raccontare la tragedia delle donne congolesi senza che niente cambi. Stando di scrivere di stupri e torture spaventose, di citare numeri raccapriccianti senza che nessuna autorità politica internazionale si dia da fre per prendere provvedimenti concreti”. I numeri parlano da soli: 500 mila donne violentate in sedici anni, un numero che supererebbe ogni tipo di piaga sociale. Il dottor Mukwege ha prove, foto e testimonianze ma non sono mai serviti a nulla e lancia un allarme “Non si potrà dire, come accaduto in altri momenti bui della storia, che la comunità internazionale non sapeva. Loro sanno tutto“.
Gli occhi del dottor Mukwege si riempiono di tristezza ed orrore, al solo pensiero di quando ha accolto la prima donna vittima di uno stupro da parte di un gruppo di soldati; le avevano sparato più pallottole nella vagina e quella donna era sopravvissuta per miracolo. Alla fine del 1999 aveva già esaminato 45 casi simili, l’anno successivo erano 135. Nel 2004 i casi erano diventati 3604. Con orrore il dottore ha scoperto prima della comunità internazionale, che dove non bastavano armi da fuoco o da taglio, si ricorreva alla violenza sessuale. Nella Repubblica Democratica del Congo lo stupro collettivo è diventato un’arma di guerra da commettere davanti a figli e mariti con i vicini costretti ad assistere sotto minaccia. Clitoridi sfregiati, seni, labbra e nasi tagliati. Questo è stato l’orrore a cui ha dovuto sottoporsi per salvare delle vite umane, usate come spaventapasseri per ricordare chi domandasse in quella zona. La lotta per il potere passa tramite la mutilazione e l’umiliazione sistematica di civili inermi la cui unica colpa è sempre stata quella di trovarsi nel posto sbagliato, al momento sbagliato.
Nel 2002 Human right watch ha pubblicato un rapporto intitolato La guerra nella guerra, il dottor Mukwege era convinto che avrebbe segnato un punto di svolta, nell’inattività della comunità internazionale ma si sbagliava: “Non è cambiato niente”. Da allora gli stupri sono addirittura aumentati ed ormai vengono utilizzati come una tattica di guerra da tutte le fazioni: i ribelli hutu, i combattenti mai-mai, gli insorti dell’M23, i soldati ruandesi e le stesse forze governative congolesi. In una folle corsa verso l’orrore i gruppi addirittura “Rivaleggiavano in crudeltà. Perfezionando la tortura ed i supplizi. Riesco a riconoscere la loro firma sul corpo delle donne” ma non finisce qui. Con voce velata e monocorde il dottore racconta ad Annick Cojean ciò che ha visto: “vagine con dentro pezzi di legno, di vetro, di acciaio. Vagine lacerate con lame di rasoi, coltelli o baionette. Vagine dentro cui avevano versato gomma bollente o soda caustica. Vagine riempite di benzina e date alle fiamme”.
Il dottor Mukwege ha curato una donna rapita con i suoi figli e ridotta a schiava sessuale, cui erano stati dati in pasto i propri figli o una bambina di soli tre anni, stuprata da un manipolo di uomini durante uno dei tanti raid nei villaggi inermi.
La maggior parte di queste donne non potrà più avere figli, le altre invece, contaminate dall’AIDS o da ogni sorta di altra malattia, diventano a loro volta “sorgenti di virus, strumenti di morte per i propri compagni” ed i bambini nati dagli stupri verranno emarginati dalla comunità lasciandoli a loro stessi; quelli che sopravviveranno saranno, probabilmente, arruolati come bambini soldato.
Colette Braeckman ha definito il dottor Mukwege “l’uomo che ripara le donne” e questo è lo scopo che il dottore ha deciso di portare fermamente a termine, non si fermerà mai, dice. Continuerà a formare équipe mediche e ad operare diciotto ore, arrivando anche a dieci interventi ogni giorno. Conclude il suo racconto straziante con una lucidissima considerazione “Molti uomini credono che lo stupro sia solo un rapporto sessuale non consenziente. Ma non è così. E’ la distruzione della persona, nella Repubblica Democratica del Congo va avanti sistematicamente da sedici anni. Sedici anni di demolizione delle donne, sedici anni di discgregazione di una società. E la situazione non fa che peggiorare”.